I MIEI NO, MOTIVATI, AD ALCUNE TERAPIE CONVENZIONALI


Il primo no inerente questo argomento lo pronunciai circa vent’anni fa.
All’epoca ero una studentessa, frequentavo il tirocinio presso un Istituto de La Nostra Famiglia… sono stati 6 mesi molto brutti per me, in particolare mi ricordo di una bambina di due anni affetta da spina bifida… lei piangeva per tutta l’ora, era straziante, eppure la fisioterapista la faceva lavorare lo stesso.
Mi si diceva che era necessario, che non importava che il bambino non collaborasse, che per il suo bene andava fatto lavorare volente o nolente.
Sentendomi inadeguata, incapace di essere una buona fisioterapista infantile perché sapevo che mi sarebbe stato impossibile agire nello stesso modo, pur amando moltissimo i bambini scelsi di non lavorare con loro.
Dissi no.
Quando è nata E. ho riconosciuto e sorriso all’ironia della vita e ho sperato che le mie conoscenze potessero essere utili a mia figlia.
Ad un paio di mesi dalla dimissione E. ha potuto iniziare la riabilitazione, all'inizio le cose sono andate bene, era bello avere un impegno fuori di casa, bello che mia figlia potesse incontrare persone diverse, avere nuovi stimoli. Così di fronte a certe cose che pure mi davano il mal di stomaco io restavo in silenzio, ad esempio non mi piaceva che E. fosse lasciata con la faccia schiacciata sul tappeto allo scopo di farle alzare la testa perché lei, giustamente, piangeva e piangendo attivava gli addominali il che le rendeva ancora più difficile (nel suo caso impossibile) fare il movimento richiesto.
Però sentivo di avere bisogno di quella fisioterapista, inoltre eravamo colleghe, ci conoscevamo da quasi vent'anni, sapevo quanto tenesse al suo lavoro, ad essere sempre aggiornata, mi era stata vicina in molti modi come un'amica vera da quando E. era nata, perciò ero convinta che nel complesso quella fosse la cosa migliore da fare.
Dopo alcuni mesi E. ebbe una terribile infezione che portò a due mesi di ricovero con 4 interventi di Neurochirurgia di cui due d'urgenza. Iniziò quello che io definisco il nostro alto medioevo, avete presente il periodo delle invasioni barbariche?... Ecco, buio e senza speranza, così vivemmo i 6 mesi successivi alla dimissione.
E. non faceva progressi, occorrevano tempi eterni per avere gli ausilii, non avevo un sistema posturale per farla stare seduta correttamente, e poi c'era il problema all'anca per il quale non ero soddisfatta di quello che si faceva lì, perché di fatto nulla si stava facendo.
E poi la Fisioterapista ed io cominciavamo a vedere cose diverse. Stessa bambina, osservazioni diverse... Ma davvero era la stessa bambina? No che non lo era: quando andavamo lì il suo ipertono aumentava di molto! Evidentemente non era a suo agio, ma non lo ero nemmeno io perché  le cose che raccontavo non erano credute, dunque la F. non aveva fiducia nella mia capacità di osservazione. Non solo, lei non credeva nemmeno che il Crosystem potesse essere efficace, dunque non credeva nemmeno alla capacità di valutazione della Neuropsichiatra infantile di E.


Casomai un giorno dovesse leggere, scrivo che l'anca di E. era in blocco articolare, blocco che si è risolto in tre mesi di utilizzo dell'abduttore notturno e non era rigida a quel modo a causa dell'ipertono come invece credeva lei.
Era una situazione frustrante per tutti ed è stato un bene interromperla.
Io ho detto no, ma tanti genitori, lo so perché me l'hanno detto, si sentono intrappolati in situazioni simili, pur in posti diversi, ma vi rimangono perché pensano di non avere alternative.


Il punto cruciale è che tutte le aggressioni che subiamo e lo stress che accumuliamo si inscrivono nel nostro corpo, che non fa distinzione tra quello che ci viene addossato per "il nostro bene" o "per il nostro male" e questa non è una mia opinione, è proprio la realtà biologica del nostro funzionamento, dunque sottoporre un bambino a certe violenze non solo non è utile, ma è dannoso in termini globali, psico-fisici.
Per questo penso che a conti fatti sia meglio non fare niente che fare male.




Ora guardate insieme a me, secondo voi sarà più facile che un bambino sollevi il capo mentre è a pancia in giù su un tappeto con un gioco davanti, anche un gioco bellissimo, o mentre è a pancia in giù sulla pancia della mamma o del papà spinto dal desiderio di guardare il loro volto?


Se pensate che la prima ipotesi sia più probabile allora quello che scrivo non fa per voi.


Per noi è stato naturale che il mio corpo diventasse la palestra di nostra figlia: su di me è stata sdraiata, seduta in tante posizioni, ha rotolato, si è messa a quattro zampe, ha studiato strategie per i passaggi posturali, ha "volato" sulle mie gambe e in atterraggio da uno di questi voli, poco più di un mese fa, è stata per la prima volta in piedi col solo aiuto delle mani, per pochi secondi, con i talloni ben appoggiati, senza tutori.


Quando racconto queste cose a chi conosce la sua situazione clinica, a chi ha visto le risonanze, le tac, a chi l'ha operata, a chi ricorda che prima di venire a casa non reggeva lo sguardo di nessuno (tranne il mio, ma solo per una frazione di secondo) e per tutte queste cose pensava nella migliore delle ipotesi che fosse cieca o che sarebbe rimasta un vegetale, quando dico che ora lei rotola, scende dal divano, sta in piedi (aiutata, certo) e riesce a fare i passaggi di carico da un piede all'altro da sola, il commento che sento è sempre lo stesso: "E' un miracolo". 
Per me è ovvio che non lo sia, non è un miracolo, non ci sono segreti particolari, i miglioramenti di E. sono il frutto di scelte ragionate e del lavoro quotidiano.


Secondo me è impensabile che siano sufficienti 45/50 minuti tre volte a settimana per  far progredire bambini con compromissioni così serie. 


Ritengo indispensabile che i genitori siano fortemente coinvolti nella riabilitazione, non riproponendo "esercizi di movimento" che per il bambino non hanno alcuna funzione conoscitiva, ma facendo giocare quotidianamente i loro figli, facendoli muovere nel modo più globale possibile affinché conoscano e sentano il proprio corpo attraverso il gioco.


A questi bambini nelle palestre di riabilitazione spesso vengono fatte richieste che ad un bambino sano non si farebbero, ma loro non imparano in modo diverso, come tutti i bambini hanno bisogno di guardare ed essere visti, di toccare persone, oggetti, materiali diversi e di essere toccati e di fare queste esperienze essendo presenti, attenti a ciò che stanno facendo, e senza stancarsi. 
Appena è stanca E. ricade negli schemi patologici e continuare a farla lavorare non sarebbe solo inutile, sarebbe addirittura dannoso. 
Crescere ed organizzarsi è faticoso, imparare è faticoso, lo è per loro così come lo è per noi, non possiamo pretendere dai nostri figli che abbiano capacità di concentrazione superiori alle nostre, che superino i propri limiti. 
E' una questione di rispetto.


Un bel tappeto grande, un cuscino, della buona musica e poche altre cose e quell'appuntamento sarà presto desiderato e non vissuto come un dovere.
Certo non si può fare tutto a caso, è necessario sapere come prenderli in braccio, dove mettere le mani, cosa fare e cosa evitare, per questo è auspicabile che i genitori non siano allontanati dalle palestre, ma anzi imparino la miglior gestione possibile per favorire i progressi dei propri figli.


Facendo ricerche in internet ho visto alcuni filmati sulla rieducazione neurologica di bambini e ragazzi affetti da paralisi cerebrali infantili e mi sono sorpresa, per usare un eufemismo, nel vedere in che modo alcuni miei colleghi cerchino di allungare (stretching) i muscoli: non mi spiego come possano pensare di fare del bene a quei piccoli se intanto essi piangono, soffrono e si divincolano compensando lo stiramento in altre parti del corpo rendendo vano il tentativo, ma soprattutto mi chiedo come abbiano potuto dimenticare il principio per cui un muscolo reagisce allo stiramento eccessivo contraendosi per difesa.


L'allungamento, eventualmente, ammesso che sia quello ciò che serve a questi bambini, deve essere dolce, senza dolore, lo stiramento deve essere piacevole, graduale e, in un mondo ideale, dovrebbe essere globale, in mancanza della globalità, dovrebbe essere perlomeno simmetrico, e questo, a livello di arti inferiori, è abbastanza facile da fare.


Stirare i muscoli in modo eccessivo può provocare dei piccoli traumi, un giorno mia figlia, per esempio, dopo un trattamento kinesiterapico aveva un piccolo livido a livello degli adduttori. Queste cose non dovrebbero succedere.


E possiamo forse far finta di non sapere cosa comporti a livello emotivo l'esperienza di essere costretti in posizioni sgradevoli e/o dolorose, di soffrire inascoltati, di non essere rispettati? Che vissuto si porta a casa un bambino trattato in questo modo? Possiamo forse stupirci se dopo qualche anno questi ragazzi non vogliono più fare fisioterapia?

Spero che quello che scrivo possa interessare o almeno incuriosire e sono disponibile a rispondere alle vostre domande ed anche alle critiche, naturalmente.















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